martedì 10 gennaio 2012

Il Mondo Femminile e L'Islam

di Nicola Pegazzano

Si dice che la donna sia più libera nei paesi islamici di quanto non appaia poi nella quotidianità, nelle strade del Cairo come in quelle di Kabul. Parliamo di un mondo chiuso, segreto, un mondo dove nessuno può avere accesso, solo le donne di famiglia possono avere libero spazio e gli uomini quando l’esigenza lo richiede.
E’ un mondo spietato, quello islamico, nei confronti delle donne. Solo in quest’ultimo periodo ci sono state varie lapidazioni in un mondo così brutale come può esserlo l’islamico (la Nigeria del nord, per esempio, come non ricordarsi di quella povera donna colpevole di aver giaciuto accanto a un uomo che non era il marito, peraltro morto?), mondo al femminile, mondo che possiamo definire sconosciuto. Il fatto che avvengano così tante torture inflitte a donne, ci dà solo una vaga idea di cosa sia il mondo islamico per una donna nata sotto Pantelleria, cioè in quella terra stupenda quanto inospitale che è l’Africa, o andando più ad oriente, potremmo nominare l’Arabia, l’Iran, fino all’Indonesia, ritenuto il paese più musulmano  del mondo, con oltre 230 milioni di fedeli islamici. Le donne e l’Islam, dunque. Islam come religione, come credo, come fede insindacabile se si nasce in uno stato che fa della fede un problema per lo Stato. Le donne non esistono, per lo stato: sono genitrici, mogli, madri, e basta. Non possono essere altro. Non guidano la macchina, non possono fumare in luoghi pubblici, non possono votare (sic!), cose che per una donna occidentale rappresentano la normalità quotidiana, il vivere di ogni giorno. Non possono nemmeno lavorare, in molti paesi: in Arabia, per esempio, l’Arabia Felix del grande Lawrence, la donna è oggetto di casa, punto. Tutto questo è esagerazione, è follia per un occidentale, è pericolo anche solo incrociare lo sguardo di una donna e, se per caso le si toglie il velo, si rischiano guai grossi: anche la morte per lapidazione, come per la donna che ha acconsentito di farsi togliere la protezione sul viso. Protezione? Da quali pericoli deve proteggersi una donna che vive fra le montagne dell’Hindukush, in Afghanistan, o fra i monti anatolici della Turchia interna? Forse l’arrivo di uno straniero che le violenti? omagari l’arrivo di un vicino di casa con cattive intenzioni?
Noi occidentali siamo esageratamente liberi: le donne sono emancipate, vanno in giro, guidano macchine potenti, lavorano, portano avanti la casa con marito e figli, fanno tutto egregiamente, dando il meglio di loro, sempre, in ogni momento della loro vita, che può essere rose e fiori o, al limite, cardi e spine. Ma ce la fanno, producono, leggono, si informano, usano il computer meglio (e qua do atto a certe mie colleghe molto più veloci nell’apprendere tecniche nuove dei computersnda) di molti maschi che sono invece più bravi a fare mille altri lavoretti. Nel nostro mondo. Ma da loro, nel mondo segreto dell’Islam, come vive una donna? Intanto, non può uscire da sola per le strade della città, del villaggio, insomma: deve sempre andare accompagnata. Da un fratello, dal cognato, dal suocero. Da qualcuno comunque di sesso maschile. Fa la spesa, come tutte le donne, però la fa con la fretta di chi deve assolutamente correre a casa a cucinare. Piatti semplici, non elaborati come i nostri. Pane azzimo, innanzitutto. Carne, quasi mai pesce. Frutta, quando c’è. Tutto questo è il cibo che una donna islamica deve preparare per i suoi uomini, la sua famiglia. Mangiando poi da sola, con le altre donne di casa, evitando anche solo di dare un’occhiata nella stanza dove mangiano gli uomini.
Vita limitata, dunque. Vita coperta da una cosa inconcepibile per una donna non musulmana: che lo si chiami burka, chador, o in qualunque altro modo, rappresenta pur sempre una limitazione per una donna. Nero, di solito. Ma oggi, specie in certi paesi cosiddetti “turistici” si possono vedere donne vestite colorate, con chador rossi o gialli. Ma sono rare queste visioni, perché in tutti i paesi islamici il vestito “esterno” di una donna è al 90% nero. Poi, una volta entrate nella loro case, di solito già nei giardini che hanno fuori, si spogliano e mostrano vestiti colorati, unghie curate, capelli rossi che non si vedono perché sono completamente coperti. Si può accettare ancora tutto questo? Eppure Fatima, la moglie di Maometto, non era costretta a girare per le strade coperta da un velo nero. Né le figlie a essere accompagnate fuori, da uomini di casa. Era tutto diverso. Prima Khomeini, poi altri despoti di quei luoghi, legiferarono in un modo così severo che tutte le donne furono costrette a ubbidire. Leggete il libro di Azar Nafisi, docente di letteratura inglese all’università di Teheran, “Leggere Lolita a Teheran”, fa capire il terrore della donna in un paese che fino ad allora aveva avuto nell’emancipazione femminile il suo vanto migliore. Dopo il 1978, nulla avrà più il colore dei capelli neri di una donna iraniana, tutto cambia anche nella zona del Golfo, tutto muta rapidamente. Sino ad arrivare all’uccisione di Saddam, e alla guerra attuale in quelle regioni.

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